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SAN BENEDETTO DEL TRONTO - Lettera della Caritas di San Benedetto.

A fronte di recenti episodi di cronaca avvenuti nella sede della Caritas di Ponterotto, che hanno scatenato accuse di favorire l’afflusso di "soggetti pericolosi" e alimentare il degrado, la Caritas diocesana risponde con fermezza. La nota sottolinea la capacità di distinguere tra le legittime preoccupazioni dei residenti e la strumentalizzazione politica del disagio, difendendo il senso profondo del proprio operato.

La Caritas si definisce come la comunità cristiana che interviene di fronte all’urgenza, spesso drammatica, di persone in difficoltà. Il suo impegno va oltre la semplice offerta di un letto o un pasto, puntando a costruire relazioni d’aiuto, accompagnare storie e sostenere percorsi di reinserimento sociale. L’accoglienza non avviene "a occhi chiusi", ma risponde a un vuoto sociale spesso ignorato dalle istituzioni competenti.

L’uso dell’etichetta "soggetti pericolosi" viene respinto come una semplificazione eccessiva di realtà complesse. La Caritas riconosce la presenza di persone con fragilità e vissuti difficili, ma ribadisce che accogliere non significa giustificare il male, bensì non arrendersi alla sua logica. Al contrario, l’organizzazione lavora per offrire una possibilità di cambiamento anche a chi ha commesso errori.

La Caritas garantisce per le persone che accoglie: sono accompagnate attraverso progetti individuali. Non può, ovviamente, garantire per chi non ha preso in carico o per chi si introduce nella struttura senza autorizzazione, specialmente di notte. A tal proposito, con un investimento economico significativo, è stata organizzata una vigilanza notturna per impedire accessi non autorizzati. I soggetti coinvolti nei recenti episodi di violenza, infatti, non erano ospiti della Caritas.

Vengono evidenziate le diverse e complesse situazioni personali affrontate, sottolineando la necessità di risposte differenziate, evitando di coabitare persone con esigenze eterogenee. Al tempo stesso, la Caritas è testimone di numerose "vite riemerse", storie di persone che hanno ritrovato casa, lavoro e relazioni, spesso in silenzio. Tuttavia, si lamenta che oggi "il bene non interessi: fa più rumore una situazione di disagio di mille gesti quotidiani che cambiano la vita".

L’accoglienza, si legge nella nota, non è una scelta autonoma o ideologica, ma la risposta di tutta una comunità a bisogni concreti, a volte persino aprendo le porte della propria casa, come farà il vescovo Gianpiero ospitando alcuni senza dimora in episcopio. Questo gesto simboleggia una Chiesa che non delega, ma si espone per fedeltà al Vangelo e all’umanità.

La richiesta finale è chiara: collaborare insieme. Alle istituzioni pubbliche, già impegnate, si chiede un impegno maggiore, e alle forze dell’ordine di fare la loro parte. La Caritas non deve essere trasformata nel capro espiatorio di paure collettive.

La Caritas snocciola anche i numeri del suo operato: se chiudesse la sede di San Benedetto, ogni anno nella Diocesi non sarebbero serviti 29 mila 897 pasti, non sarebbero distribuiti 4 mila 302 pacchi viveri, non verrebbero offerte 758 docce, né erogate 1.469 prestazioni sanitarie. Inoltre, altre 44 persone vivrebbero per strada. Tutto questo viene realizzato grazie ai volontari e ai fondi della Chiesa.

"Forse bisognerebbe cominciare a pensare che Caritas non è il problema ma un anello della catena che permette la soluzione del problema", conclude la nota. "È necessario che tutti mettano gli altri anelli per fare la loro parte. Costruire relazioni, educare alla libertà e alla responsabilità, è il primo passo per rendere la nostra società più giusta e più umana. Nessuno deve aver paura del bene, piuttosto guardiamolo da vicino. E, se possiamo, partecipiamo".



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